Cicli di conferenze sulla comunicazione

Luglio – Agosto 2019

Conferenze Estive sulla Comunicazione

San Vincenzo 2019, Sala Consiliare, Torre di San Vincenzo

a cura di Giovanni Manetti

 

 

 

Come è fatta la lingua che parliamo? Usi, scritture, ideologia

 

La lingua che parliamo è un meccanismo molto complesso che presenta molteplici aspetti. Uno di questi riguarda la dimensione di codice che la lingua ha, comportando un lessico ed una serie di regole grammaticali. Questa dimensione viene saggiata, nella prima conferenza, anche a livello iconico, con la proposta di una lingua-scrittura fatta di emoji (nella quale è stato tradotto un classico della letteratura comePinocchio), teoricamente fruibile a livello universale, in modo simile alle lingue cosiddette “perfette”, elaborate a partire dal secolo XVII°.

Ma la lingua è molto di più di un codice, come mostra l’analisi della conversazione e delle sue regole implicite, illustrata nella seconda conferenza. Quando siamo impegnati anche nella più banale delle interazioni linguistiche mostriamo una consapevolezza profonda, pur senza averne avuto un apprendimento specifico, delle regole relative agli usi contestuali del nostro parlare, nonché alla “faccia” dei nostri interlocutori, stando attenti a non minacciarla e al contempo a non perdere la nostra.

Infine il linguaggio comporta una dimensione apertamente ideologica – come mostrerà la terza conferenza –  e può essere collegato a scopi apertamente politici. Questo è quanto è avvenuto nei periodi precedenti e seguenti il secondo conflitto mondiale, quando argomentazioni linguistiche sono state usate per rivendicazioni concernenti territori da annettere e per progetti di imposizione di una specifica lingua nazionale.

 

30 luglio

Francesca Chiusaroli (Università di Macerata)

“Tradurre Pinocchio in emoji: un codice artificiale per una lingua internazionale”

 

Tradurre un’opera letteraria in emoji è la sfida raccolta dal gruppo di lavoro guidato da Francesca Chiusaroli, animatrice di una social communiy attiva su Twitter con l’hashtag #scritturebrevi.  Rispetto ai più importanti e noti esperimenti – Emoji Dick, Alice in Wonderland, Biblemoji– tutti a base anglofona, Pinocchio in Emojitalianoha introdotto innanzitutto la novità di confrontarsi con un’opera integrale in italiano. Altra novità sostanziale, è l’impostazione collettiva, con la configurazione di un codice standardizzato, intitolato, appunto, Emojitaliano, concordato e condiviso dalla community. Ispirato a modelli e programmi storici di lingue artificiali e ausiliarie a statuto universale, Emojitalianoconsiste in un repertorio di corrispondenze lessicali stabilizzate e coerenti, e nella elaborazione di una struttura grammaticale semplificata che consenta di riconoscere le parti del discorso permettendo in tal modo la lettura e la decodificazione del senso indipendentemente dalla lingua. In qualche modo, la declinazione linguistica degli emoji permette anche di ripercorrere quelle fasi della storia delle scritture per pittogrammi che riguardano le epoche prestoriche e pre-alfabetiche, perseguendo l’ideale di una scrittura leggibile in tutte le lingue del mondo.

 

Professore ordinario di Linguistica generale all’Università di Macerata, coordinatrice delLAFOS, Laboratorio di fonetica e scritturadello stesso ateneo.

Si occupa di processi di letteraturizzazione dell’inglese antico ed etnografia della scrittura; storiografia linguistica; stenografie e lingue artificiali; linguistica dei media.

Dal 2010 coordina il progetto Scritture Brevi, con Fabio Massimo Zanzotto (Università di Roma “Tor Vergata”), e l’omonimo blog(www.scritturebrevi.it) e hashtagsu Twitter.

Dal 2016 fondatrice del progetto Emojitalianocon Johanna Monti (Università di Napoli “L’Orientale”) e Federico Sangati (Università di Napoli “L’Orientale”), da cui la traduzione in crowdsourcingdi Pinocchioin emoji(Pinocchio in Emojitaliano, Apice libri, 2017), @Emojitalianobote, con il gruppo Kamusi, @EmojiWorldBot, su Telegram.

 

 

6 agosto

Franca Orletti (Università Roma Tre)

“La conversazione ha le sue regole”

 

Le nostre chiacchere quotidiane, ma anche colloqui di natura più pubblica e istituzionale, come talk show, interazioni in contesti istituzionali come la scuola, il tribunale e l’ambito della salute, possono sembrare un fluire caotico, senza struttura di discorsi in cui le parole si mescolano in maniera disordinata a sguardi e gesti. Va dato il merito all’ Analisi della conversazione, allo studio microsociologico del quotidiano e alla linguistica interazionale che si fonda su questi due approcci per aver mostrato che la conversazione è governata da regole, di cui siamo consapevoli pur senza averne avuto un apprendimento formale. Questa conoscenza implicita ci porta a giudicare come scorrette, aggressive, prepotenti, persone che ci interrompono, che prendono la parola quando non devono, che non sanno mettere in atto quei comportamenti riparatori, come il chiedere scusa, che servono a ristabilire l’ordine conversazionale. Ma il possesso delle regole interazionali ci permette anche altro, come, ad esempio, il chiedere, fare inviti e a realizzare altre azioni conversazionali senza esporci esplicitamente.

 

Franca Orletti è professore ordinario di Linguistica presso l’Università degli studi  Roma Tre. E’ condirettrice della rivista di Studi di Linguistica Teorica e Applicata.

Si occupa di linguistica interazionale e di Analisi della conversazione, approccio che ha introdotto in Italia e di cui ha mostrato la rilevanza per lo studio linguistico del parlato interazionale sia attraverso la sua attività di traduttrice che attraverso convegni e pubblicazioni dedicati al tema.  Si occupa, inoltre, di acccessibilità comunicativa e semplificazione linguistica in ambiti come il patrimonio culturale e la comunicazione istituzionale. Fra I suoi volumi si ricordano Comunicare nella vita quotidiana, Il Mulino 1983, La conversazione  diseguale, Carocci  2000, Il parlar chiaro nella comunicazione medica, Carocci 2018, Cos’è la Linguistica interazionale, Carocci 2019, Dialogue in institutional settings(eds con Letizia Caronia), Special Issue Language and Dialogue, Benjamins, 2019.

 

 

9 agosto

Sandra Covino (Università per Stranieri di Perugia)

“Lingue e nazioni, linguistica e nazionalismo: riflessioni tra storia e attualità”

 

La conferenza affronterà il tema del rapporto tra linguistica e nazionalismo nella prima metà del Novecento. Nei decenni precedenti e successivi al primo conflitto mondiale, in un clima di montante sciovinismo, linguisti e filologi furono spesso in prima linea nella cosiddetta guerra degli spiriti, che vide lamobilitazione patriottica delle élite intellettuali europee, schieratesi su fronti contrapposti a sostegno delle rispettive cause nazionali. Per quanto riguarda l’Italia, si accennerà agli esempi offerti da alcuni glottologi nati in terre irredente che, dopo la guerra, aderirono al fascismo, fornendo argomentazioni“scientifiche” a rivendicazioni annessionistiche e a programmi di italianizzazione forzata di regioni di frontiera.Riflettere oggi sui condizionamenti ideologici subiti dalla linguistica nell’età dei nazionalismi e dei totalitarismi novecenteschi può contribuire a contrastare la manipolazione politica del binomio lingua-identità e quella retorica dei populismi che, anche all’interno dell’UE, sembra infondere nuova linfa all’antagonismo dei vecchi stati nazione.

 

Sandra Covinoè professore ordinario di Linguistica italiana presso l’Università per Stranieri di Perugia e rappresentante dell’ASLI nel Coordinamento Intersocietario per la Storia del Pensiero Linguistico e Semiotico (CISPELS). Tra i filoni della sua produzione scientifica, la storia degli studi linguistici e filologici in Italia, la lingua dell’Ottocento e le falsificazioni testuali, varietà e linguaggi settoriali dell’italiano contemporaneo. È autrice, tra l’altro, dell’edizione del carteggio D’Ancona – Monaci(2 voll., Pisa, Scuola Normale Superiore, 1997) e della monografia Giacomo e Monaldo Leopardi falsari trecenteschi. Contraffazione dell’antico, cultura e storia linguistica nell’Ottocento italiano (2 voll., Firenze, Olschki, 2009). Di imminente pubblicazione, il volume Linguistica e nazionalismo tra le due guerre mondiali. Scienza e ideologia negli epigoni ascoliani (Bologna, il Mulino, 2019).

 

 

Luglio-agosto 2018

Conferenze estive sulla Comunicazione a San Vincenzo, 

IL SOGNO, IL SIMBOLO, IL MITO

ciclo a cura di Giovanni Manetti

 

 

Presentazione ciclo conferenze

Simbolo, sogno e mito sono tre universi, differenti e separati per natura, ma che si richiamano a vicenda. Infatti la componente simbolica appare essenziale sia nell’interpretazione dei sogni, che in quella dei miti. Fin dall’antichità i sogni sono stati avvertiti come messaggi inviati dagli dei, che si presentano in forma oscura perché mediata da meccanismi simbolici. Più laicamente nel corso del Novecento, i sogni sono stati interpretati come una forma di linguaggio criptico perché trasformato dal meccanismo del cosiddetto simbolismo onirico. Gli stessi miti, poi, sono stati visti come mondi possibili costruiti a partire da un intento di autocomunicazione da parte delle stesse culture che li hanno elaborati, secondo meccanismi di trasformazione linguistico-simbolica complessa. Ma come si configurano i simboli in sé? Strutture semiotiche al tempo stesso complesse ed estremamente potenti, essi innervano l’intero tessuto del panorama comunicativo. Arrivano alla persuasione non per via razionale, ma analogica e passionale.

 

 

 

24 LUGLIO martedì

Giovanni Manetti “Simboli di marca, politici e religiosi.

 

Presentazione conferenza

Spesso confuso con la nozione di segno, il simbolo se ne distingue per un carattere iconico, ovvero di somiglianza (che il segno non ha) con l’oggetto a cui si riferisce e per una certa intrinseca capacità di dinamismo. I simboli sono estremamente importanti nella comunicazione perché riescono a condensare in una semplice immagine un mondo talvolta molto complesso di significati. Si pensi allo “swoosh”, il famoso “baffo” che costituisce il simbolo di marca della Nike, che racchiude in sé le idee di “velocità”, di “potenza”, di “giovanile dinamicità”. O al logo della Coop, in cui si fondono le idee di “catena della solidarietà”, di “uguaglianza”, di “cooperazione”. Per questa loro capacità di arrivare al cuore del senso in modo diretto i simboli trovano grande applicazione, oltre che nel marketing e nella pubblicità, anche e soprattutto nella comunicazione politica: si pensi alla potenza ineguagliata dei simboli novecenteschi della “falce e martello” e dello “scudo crociato”. Come pure trovano ampio spazio nella religione (ad es. i simboli del “pesce” per i primi cristiani, della “croce” o del “Sacro cuore”) e nella letteratura, tanto da aver dato il nome alla corrente letteraria del “Simbolismo”.

 

Curriculum

Professore ordinario di Semiotica presso l’Università di Siena, è presidente dell’Associazione “Simbolo, conoscenza, società” e direttore per i primi dieci anni della rivista “Simbolon”. Ha ideato e diretto il Centro Ricerche-Osservatorio sulla Comunicazione con sede a Castiglioncello (2000-2013). Dirige (insieme a S. Gensini) la rivista Blityri. Studi di storia delle idee sui segni e le lingue e la collana editoriale Semeia. I segni, le lingue, la storia (ETS). Direttore (insieme ad A. Fabris) della collana Comunicazione e oltre (ETS). Tiene la rubrica di pubblicità Consumi in scena sulla rivista mensile Nuovo consumo.
Tra le sue pubblicazioni:
In principio era il segno. Momenti di storia della semiotica nell’antichità classica (Bompiani, Milano, 2013); L’enunciazione. Dalla svolta comunicativa ai nuovi media (Milano, Mondadori Università, 2008); Specchio delle mie brame. 12 anni di spot pubblicitari (Pisa, ETS, 2006).

 

 

 

31 LUGLIO martedì

Donatella Puliga “Il mito. Significati e forme dell’esperienza proiettiva

 

Presentazione conferenza

L’unica certezza riguardo ai miti classici è quella della loro esistenza, oltre che della loro capacità di permeare anche il nostro presente. Ma la molteplicità disarmante di punti di vista dai quali è possibile osservarli, ha fatto sì che i testi mitici siano stati fra i più “forzati” della storia. Ci si è sentiti autorizzati ad attribuire ad essi significati anche molto lontani dalla loro lettera. Una di queste letture è stata proprio quella che ha ravvisato nel mito una serie di significati simbolici e proiettivi: e questo non vale soltanto a proposito dell’interpretazione data dalla psicanalisi. Il mito costituisce un’esperienza proiettiva proprio nel senso che ognuno ha potuto e può ancora attribuire ad esso il significato che rientra nel proprio orizzonte di attesa. Eppure, proprio nella sua infinità di varianti e di racconti, esso ci chiama in maniera anche provocatoria a confrontarci con una radicale esperienza della diversità. Una diversità, che prevede peraltro mutamenti, trasformazioni, negoziazioni di significato. E per questo permette che il mito attraversi le varie epoche e che ancora ci interroghi e si lasci da noi interrogare.

 

 

Curriculum

Donatella Puliga ha compiuto gli studi del curriculum in Lettere classiche alla Scuola Normale di Pisa e, come vincitrice di concorso, ha insegnato per alcuni anni presso il Liceo Ginnasio G. Galilei della stessa città. E’ poi passata in ruolo all’Università di Siena, dove dal 1998 insegna Civiltà classica e Lingua e letteratura latina. A Siena ha fondato il Laboratorio di ricerca sulla didattica dell’antico, nell’ambito del Centro di Antropologia e mondo antico diretto da Maurizio Bettini. Si occupa sistematicamente di problemi relativi alla didattica delle Lingue e della cultura classica ed è stata consulente del MIUR. Con una particolare attenzione alla dimensione antropologica della civiltà greco-romana, è interessata alla permanenza di moduli classici nella società contemporanea, oltre che nella letteratura e nell’arte. Gli ultimi suoi interessi di ricerca riguardano il campo delle emozioni nel mondo antico. Tra le sue principali pubblicazioni: In Grecia. Racconti dal mito, dall’arte e dalla memoria, Einaudi 2016 n.e. (con S. Panichi), Percorsi della cultura latina. Per una didattica sostenibile, Carocci, Roma 2003, Ospitare dio. Il mito di Filemone e Bauci tra Ovidio e noi, Il Melangolo, Genova 2009, La depressione è una dea. I Romani e il male oscuro. Il Mulino, Bologna 2017.

 

 

 

07 AGOSTO martedì

Maurizio Bettini “I sogni nell’antichità classica

 

Presentazione conferenza

 

La vita onirica ha da sempre suscitato l’interesse degli antichi. A cominciare dalle popolazioni della Mesopotamia, che alla loro esegesi si dedicarono con perizia e passione professionali; ma non diversamente si sono comportati i Greci e i Romani, che alle visioni notturne hanno dedicato molteplici attenzioni. Il sogno ha svolto un ruolo fondamentale anche nella cultura cristiana, che finì spesso per popolarlo di diaboliche apparizioni. Dei sogni però ci si continua a occupare anche oggi; lo sa chiunque si sia adagiato almeno una volta sul lettino di uno psicoanalista, mentre neurologi e cognitivisti continuano ad esplorarne le (vane o preziose?) profondità con i nuovi strumenti forniti dalla scienza. Il fatto è che queste creazioni apparentemente assurde, o per lo meno fornite di un senso assai discutibile, in realtà sono sempre state sospettate di portare dentro di sé significati molto superiori a quelli che gli uomini ricevono attraverso altri, più usuali, canali di comunicazione.

 

Curriculum

Maurizio Bettini, classicista e scrittore, è direttore del Centro “Antropologia e Mondo antico” dell’Università di Siena. Dal 1992 tiene regolarmente seminari presso il “Department of Classics” della University of California at Berkeley. Con l’editore Einaudi cura la serie “Mythologica”, presso l’editore Il Mulino è responsabile della collana “Antropologia del Mondo Antico”. Collabora regolarmente con la pagina culturale de “La Repubblica” ed è autore di romanzi e racconti. Il suo principale campo di studi è costituito dalla riflessione antropologica sulla cultura greca e romana, spesso in rapporto con l’esperienza della modernità. Pubblicazioni recenti: Radici. Tradizione, memoria, identità (Bologna, Mulino 2016); Il grande racconto dei miti classici (Bologna, Mulino 2016); Viaggio nella terra dei sogni (Bologna, Mulino 2017); A che servono i Greci e i Romani (Torino, Einaudi 2017).

 

TORRE DI SAN VINCENZO

ORE 21.30

Luglio 2017

Conferenze estive sulla Comunicazione a San Vincenzo, 

Sala Consiliare – La Torre (via della Torre, ore 21,15)

La comunicazione politica all’epoca del web

a cura di Giovanni Manetti

giovedì 13 luglio

Giuseppe Segreto (Università di Siena),

“La narrazione della politica al tempo del web e dei social media”.

mercoledì 19 Luglio

Massimo Leone (Università di Torino),

“La comunicazione del fondamentalismo religioso violento nel web”.

Luglio 2016

Conferenze estive sulla Comunicazione a San Vincenzo, 

Sala Consiliare – La Torre (via della Torre, ore 21,15)

a cura di Giovanni Manetti

L’italiano, questo sconosciuto!

12 luglio

Stefano Gensini,

Università di Roma “La Sapienza” (stefano.gensini@uniroma1.it)

“Morbus anglicus? Profilassi e terapia del caso. Sulle parole straniere nell’ Italiano”

13 luglio

Giuseppe Antonelli,

Università degli studi di Cassino

(gius.antonelli@yahoo.it)

“E-taliano. Storia e leggenda dell’italiano telematico”

15 luglio

Annalisa Nesi,

Università di Siena

(nesi@unisi.it)

“La lingua e il mare”

25 luglio

Nunzio La Fauci,

Università di Zurigo

(nunziolafauci@gmail.com)

“A spasso nella lingua del si, per spasso. Un’arguta riflessione sulla scandalosa ed eterna vita della lingua”

Luglio 2015

Conferenze estive sulla Comunicazione a San Vincenzo,  

Sala Consiliare – La Torre (via della Torre, ore 21,15)

a cura di Giovanni Manetti

 

L’immagine e il segno

 

Giovedì 16 luglio

Augusto Sainati (Università di Napoli, Suor Orsola Benincasa), “Dove vanno le immagini del cinema”.

 

Mercoledì 22 luglioLaocoon_and_His_Sons

Armando Fumagalli (Università Cattolica di Milano),

“Il primato di Hollywood e l’emergere del mercato cinematografico cinese”.

 

Domenica 26 luglio

Salvatore Settis (Scuola Normale Superiore),

“L’immagine di Laocoonte sotto il segno del dolore”.

Si apre il 16 luglio nella Sala consiliare della Torre di San Vincenzo alle h. 21,15, il ciclo di conferenze su “L’immagine e il segno”, curata dal prof. Giovanni Manetti, docente di Semiotica all’Università di Siena. Il senso che si pone alla base dell’iniziativa è un approfondimento sul tema dell’immagine, che oggi costituisce una presenza costante e sempre più pervasiva nella nostra cultura. Tanto da far definire la nostra come una vera e propria “civiltà dell’immagine”. Noi viviamo infatti, completamente immersi nelle immagini, che spaziano dalle forme più tradizionali presenti nei vecchi media (come il cinema, la televisione, la stampa), alle forme infinitamente varie che tappezzano l’ambiente urbano (cartellonistica pubblicitaria, pannelli digitali, insegne luminose, ecc.), per giungere alle nuove tipologie mediatiche rappresentate dalle immagini digitali (computer, smartphones, I-pad, dove persino i sentimenti e gli stati d’animo vengono tradotti in immagini attraverso le icone degli emoticons).

Certo c’è stato chi, come Roland Barthes, ha sostenuto che, per quanto la nostra si presenti come una civiltà dell’immagine, la scrittura sia la vera cifra del nostro tempo: l’immagine è sempre semanticamente indecidibile e solo la scrittura la ancora ad un significato definitivo. L’osservazione dello studioso francese è profonda, ma forse non tiene conto del fatto che anche la scrittura – quella contemporanea e mediatica – è anch’essa immagine, costante frutto di un progetto di design. Non esistono due insegne scritte con lo stesso carattere e, per esempio in pubblicità, immagine e testo grafico entrano in competizione per comporre il senso estetico del messaggio. Ecco che da questo punto di vista già si profilano degli interessanti problemi su cui il ciclo vorrebbe soffermarsi. Del resto un grande critico d’arte come Cesare Brandi sosteneva che l’immagine ha una doppia dimensione: da una parte è semiosi, comunicazione, messaggio che scorre dall’emittente al ricevente veicolando significati più o meno codificati e condivisi ai due poli del processo di trasmissione. Dall’altra, però, l’immagine ha anche una dimensione che Brandi definiva “astanza” ovvero presenza, pura esistenza fenomenologica, che giunge al foro interiore della coscienza, generando adesione e stupore estetico.

Ma ci sono ancora molti altri aspetti sotto cui può essere pensato il tema dell’immagine. Uno di questi verrà illustrato nella conferenza del giovedi 16 luglio da parte del professor Augusto Sainati, docente di Storia del cinema all’Università di Napoli “Suor Orsola Benincasa”, e blogger su tematiche cinematografiche per Il Fatto quotidiano, con il titolo “Dove vanno le immagini del cinema?”, nella quale si rifletterà soprattutto su temi come: Qual è l’evoluzione tecnologica delle immagini (il digitale, le tecnologie leggere, il videofonino, le questioni della rilocazione, ecc.)? Qual è la ricaduta di questa evoluzione sul rapporto degli utenti con le immagini del cinema? E quali sono gli aspetti legati alla conservazione e al restauro delle immagini?

 

Ancora al cinema è dedicata la seconda conferenza, che sarà tenuta il mercoledi 22 luglio dal professor Armando Fumagalli, docente di Storia e linguaggi del cinema internazionale presso l’Università Cattolica di Milano e Direttore del Master Universitario in “Scrittura e produzione per la fiction e il cinema”. Il suo intervento avrà come tema “Il primato di Hollywood e l’emergere del mercato cinematografico cinese”. L’immagine è dunque anche mercato ed economia, competizione internazionale. Molti e molto attuali i temi di cui parlerà. Innanzitutto ci si chiederà qual è il “segreto” per cui il cinema americano, in particolare il cinema che proviene da Hollywood, ha successo in tutto il mondo. Molti pensano che sia dovuto solo al grande investimento di denaro (effetti speciali, scene d’azione, ecc.) che c’è su ogni singolo film. Ma c’è qualcosa di più. Oggi diversi Paesi vedono con una certa inquietudine il primato globale di Hollywood, che significa anche la diffusione di un modo di vedere il mondo, di una cultura, di un punto di vista, in moltissimi Paesi. In particolare la Cina – come ha fatto del resto, in modo diverso, anche l’India – da alcuni anni ha lanciato una sfida al cinema americano e sta cercando in tutti i modi di far crescere il proprio cinema per contendere il podio a Hollywood e diventare il nuovo riferimento culturale per tutto il mondo. Ma basta avere tanti soldi per fare un buon film? E basta avere tanti soldi per diffonderlo in tutto il mondo? Qual è – se c’è – il “segreto” del cinema americano?  E quale è il ruolo dell’Italia in questa competizione?

 

La terza conferenza sarà tenuta domenica 26 luglio dal professor Salvatore Settis, uno dei massimi intellettuali italiani esperti di immagini, direttore a Los Angeles del Getty Research Institute (dal 1994 al 99) e a Pisa la Scuola Normale Superiore (dal 1999 al 2010), le cui competenze spaziano dalla storia dell’arte antica a quella post-antica, ma i cui interessi includono anche temi di orientamento e di politica culturale, che Settis ha espresso con libri e pamphet che uniscono ad una grande profondità un ampio successo. Il tema di cui parlerà è “L’immagine di Laocoonte sotto il segno del dolore”. La statua che si trova nei Musei vaticani, scoperta il 10 gennaio 1506, e subito riconosciuta come il gruppo scultoreo di cui Plinio parla con grandissimo apprezzamento, ebbe un immediato successo e fu subito vista come straordinario e ineguagliabile esempio di espressione del dolore. Siamo di fronte ad un caso in cui un’immagine è eminentemente “segno”. Segno mimico di una dimensione patemica, di un sentimento. Per una sorta di strano – ma emblematico – cortocircuito, la statua si trasforma da immagine pagana a emblema della passione di Cristo. Ma, come osservava Barthes dicendo che senza scrittura l’immagine ha sempre un senso fluttuante, ci si è chiesti se l’espressione dei suoi muscoli facciali contratti indichino un grido articolato o un atteggiamento trattenuto ed eroico di dolore. In realtà un testo c’è: ed è quello virgiliano, secondo cui Laocoonte “innalza al cielo urla terribili”. Ma non è risolutivo: la fisiologia facciale tratteggiata dai tre autori del gruppo scultoreo (che è stata anche studiata da un medico francese dell’Ottocento dal punto di vista della muscolatura con crudeli esperimenti su esseri umani) è più complessa e sembra indicare un atteggiamento in cui il soggetto trattiene l’espressione aperta del dolore, perché urlare sarebbe al di sotto della sua dignità, come aveva rilevato Winckelman.

L’immagine dunque, che sembrerebbe ancorarsi di più della scrittura al reale, ci lascia sempre – se la si sa guardare – una curiosità inappagata, un lato di infinitudine che permette ogni volta di riaprire il discorso e di affrontarlo su basi nuove.

Luglio 2014

Conferenze estive sulla comunicazione a San Vincenzo, 

Sala Consiliare – La Torre (via della Torre, ore 21,15)

a cura di Giovanni Manetti

 

La comunicazione. Le forme e i protagonisti

 

1) giovedì 10 luglio 2014

Paolo Leonardi (Università di Bologna)

“Come comunica una foto? Sei generi di ritratti fotografici”

2) giovedì 17 luglio 2014

Giovanni Manetti (Università di Siena)

“Comunicazione. Bambini selvaggi, opinion leader, magistrati anglo-indiani e altri soggetti strani”.

3) mercoledì 23 luglio 2014

Pierangelo Isernia (Università di Siena)

“Opinione pubblica e comunicazione”

 

Luglio 2013

Conferenze estive sulla comunicazione a San Vincenzo, 

Il senso delle immagini

a cura di Giovanni Manetti

14 luglio, Marco Carminati,

“Il quadro più famoso del mondo: l’avventurosa storia della Gioconda di Leonardo da Vinci”.

22 luglio, Paolo Fabbri,

“Le Statue e i Mobili: De Chirico e Savinio”.

25 luglio, Salvatore Settis,

“Il principe e il suo pubblico: la Colonna Traiana”

manettiLocandina Nuova

Luglio 2012

Conferenze estive sulla comunicazione a San Vincenzo,

Costruire e decostruire la memoria

a cura di Giovanni Manetti

16 luglio Maurizio Bettini

Identità, tradizione e memoria

 

Si può appartenere a una tradizione senza esserne prigionieri? E si può immaginare la propria identità senza ricorrere alla metafora delle radici? La risposta è sì, basta riflettere su che cosa significa, propriamente, ciascuna di queste parole: per rendersi conto che l’identità, oggetto indefinibile, proprio per questo ha un disperato bisogno di metafore per essere maneggiato; che la tradizione non è qualcosa che si eredita per via genetica – o che la memoria trasmette meccanicamente da una generazione all’altra – ma la si costruisce e la si insegna passo dopo passo; che le radici, infine, sono un’immagine ingannevole, una costruzione retorica che vorrebbe far rientrare tradizione e identità addirittura nell’ordine vegetale della natura – finendo per escludere come ‘non naturale’ tutto ciò che esula dalle presunte radici di un gruppo. Solo che gli uomini non sono piante: e scegliere la propria tradizione culturale è un diritto.

 

18 luglio Valentina Pisanty

Usi e abusi della memoria

 

La memoria della Shoah occupa un posto centrale nella coscienza contemporanea. Non potrebbe essere altrimenti: la narrazione dello sterminio è troppo potente per essere tenuta a distanza, ci riguarda e ci struttura (o ci destruttura) come individui e membri di comunità più o meno alllargate. Ciò che muta, si evolve, sperimenta derive e assestamenti non è dunque l’esigenza diffusa di confrontarsi con un evento così traumatico, ma piuttosto l’intreccio degli usi a cui la sua memoria è stata sottoposta, con l’effetto cumulativo di trasformare la Shoah in oggetto di devozione, collante ideologico, categoria di pensiero, prodotto di marketing e, all’occorrenza, strumento contundente. Di tali usi si può parlare non con il fine di discriminare la memoria legittima da quella cattiva (da un punto di vista storiografico la memoria è sempre potenzialmente abusiva), ma di indagarne le logiche e i dispositivi retorici; di ricostruire i percorsi di trasformazione dell’evento storico in macchina mitologica, generatrice di sensi  e di abusi ulteriori; di mostrare – secondo una prospettiva nuova – l’interazione conflittuale e tuttavia sorprendentemente integrata tra i tre principali abusi che oggi si contendono la gestione della memoria: la negazione, la banalizzazione, la sacralizzazione.

 

20 luglio Piero ricci

Il tempo abita in cucina: tra memoria e oblio

 

Un vangelo apocrifo racconta che Gesù, dopo il digiuno nel deserto, avrebbe chiesto il cibo che gli preparava sua madre, ritenuto da lui il migliore che ci fosse. Non da meno il Grande Critico del film Ratatouille di fronte al piatto che gli evoca la madre e la sua infanzia provenzale.

Il tempo abita in cucina: ovvero negli spazi deputati all’invecchiamento, alla stagionatura, alla frollatura, alle marinate, alla fermentazione, alla distillazione. Ed è sul tempo che lavora la memoria costruendo racconti di eventi e sapori più immaginati che vissuti, racconti che parlano di un animale onnivoro che si ciba di simboli, ora ricordando, ora dimenticando.

Agosto 2012

Premio Castiglioncello sulla Comunicazione 2012

per il miglior libro sulla comunicazione uscito tra il maggio 2010 e aprile 2011.

Sabato 6 agosto 2012, Castiglioncello, Castello Pasquini, h.18,00.   La giuria è composta da Giovanni Manetti (Presidente, Università di Siena), Adriano Fabris (Università di Pisa),  Stefano Gensini  (Università di Roma “La Sapienza”), Patrizia Violi (Università di Bologna), Ugo Volli (Università di Torino), Alessandro Prato (Segretario non votante, Università di Siena)Bando Premio Comunicazione 2011

Agosto 2011

Conferenze estive agosto, 2011 a Castiglioncello

“La comunicazione: volti e forme”

(Castello Pasquini, ore 18,00).

 La comunicazione e i 150 anni dell’unità d’Italia

2 agosto: Stefano Bartezzaghi (Università IULM di Milano), “Enigmi d’Italia”

3 agosto: Annalisa Nesi (Università di Siena), “‘intendersi gli uomini dell’intera nazione’ (1868). Lingua e dialetti: una lunga convivenza”

5 agosto: Paolo Iabichino (Agenzia Ogilvy), “150, la gallina canta”

Luglio 2011

Conferenze estive sulla comunicazione a San Vincenzo 

(Sala Consiliare della Torre, ore 21,30)

Il mare e le parole

8 luglio: Romana Rutelli (Università di Genova), “Racconti del mare: un testo di Joseph Conrad”

16 luglio: Stefano Bartezzaghi (Università IULM di Milano), “Enigmi al mare”

22 luglio: Maurizio Bettini (Università di Siena), “Miti del mare”

 ConferenzeSanVincenzo2011

Luglio 2010

Conferenze estive sulla comunicazione  a San Vincenzo

(Sala Consiliare della Torre, ore 21,30)

Linguaggi, comportamenti e mode giovanili

 

a cura di Giovanni Manetti

 

 

“Sei un matusa!” – “E tu sei fuori come un terrazzino!”. Questo ipotetico scambio di battute è altamente improbabile, non perché due persone non possano darsi scambievolmente del ‘vecchio’, ‘sorpassato’ e dello ‘scimunito’, ma perché le espressioni usate fanno parte di due gerghi giovanili che si collocano in due epoche diverse. La prima espressione, “matusa”, era in voga negli anni ’60 presso i giovani per indicare gli adulti e derivava ovviamente dal nome del personaggio biblico che era vissuto più di cento anni. Non era molto diversa da analoghe espressioni in altre lingue europee, come quella tedesca, “mumien” (il cui significato è trasparente!), o quella francese “P.P.H.” (passera pas l’hiver), in auge nello stesso periodo. L’espressione “essere fuori come un terrazzino” appartiene, invece, al gergo giovanile degli anni ’80, in particolare al linguaggio dei cosiddetti “paninari”, che in gran parte era influenzato dalla trasmissione di culto presso i giovani in quell’epoca, “Drive in”. I gerghi giovanili, infatti, hanno la caratteristica di essere degli strati lessicali particolarmente mutevoli nel tempo, sottoposti ad un’usura infinitamente maggiore rispetto a quella delle altre espressioni della lingua. Come del resto sono mutevoli le mode giovanili. Alcuni, forse, si ricordano ancora di quando i giovani portavano i jeans a zampa di elefante. Certo, sono passati circa trent’ anni. Ma se ci si pensa, sembra che quella moda sia più antica del giurassico. Salvo poi ricomparire oggi per opposizione ai jeans tubolari.

Il fatto è che i giovani, o meglio, i gruppi giovanili che si formano in epoche e in luoghi diversi, avvertono in modo prepotente il bisogno di differenziarsi. Differenziarsi innanzitutto dagli adulti e in secondo luogo dagli altri gruppi. Naturalmente questo bisogno di differenziazione si accompagna ad una analoga esigenza di identificazione con gli altri membri del gruppo, per cui parlare uno stesso gergo significa farsi riconoscere come uguale agli altri. La prima mossa per essere riconosciuti è proprio quella di usare uno stesso linguaggio. E non si dimentichi poi il ruolo che hanno le tecnologie: chat e social network caratterizzano in modo profondo il mondo giovanile. E sono promotrici di un lessico che si diffonde tra i giovani e li caratterizza. Per fare un esempio, già si è sentita la parola “guggolare”, nel senso di fare uso del motore di ricerca Google. Ma attenzione che il linguaggio con cui si esprimono i giovani non è solo quello verbale, anche se ne costituisce una parte molto importante. Esiste, come noto, tutta un’altra serie di segni mutevoli nel tempo che vanno dall’abbigliamento, al taglio dei capelli, alle pratiche sul proprio corpo come il piercing e il tatuaggio, all’uso di oggetti (uno di questi è lo zaino, ad esempio, che per diversi anni ha sostituito la borsa di cuoio a tracolla – o quella sessantottina di stoffa – per poi ora, sotto diversa foggia e materiale, ridivenire di moda). E’ impossibile capire i giovani e, di conseguenza, accettarne la relativa diversità, se non si attribuisce valore semantico alle forme del loro modo di essere.

Poco importa che agli occhi degli adulti – o di quegli stessi giovani diventati poi adulti – molti di quei comportamenti verbali, di quelle forme di abbigliamento, di quei segni, insomma, con cui i giovani si identificano e si differenziano possano apparire per certi versi privi di una vera loro necessità e sensatezza, o anche talvolta rigidi e persino sgraziati (è proprio questa incomprensione e diversità di giudizio il segno della distanza tra le generazioni): ma il bisogno di significare dei giovani è assolutamente primario e la semantica vince sull’estetica e la logica.

Questo ciclo di conferenze, con il contributo di tre importanti specialisti dell’Università italiana, intende proprio gettare luce sul mondo giovanile, capire che cosa sta dietro a quelli che sono stati definiti di sicuro un po’ frettolosamente e in modo improprio “bamboccioni”, attraverso un’analisi del loro mondo, effettuata da tre punti di vista: quello del linguaggio verbale, quello delle mode e stili di vita, quello dell’uso dei media sociali che costituisce una tendenza, sicuramente recente ma ormai molto diffusa e consolidata, nel comportamento dei giovani. Lo scopo è quello di stimolare delle curiosità, rispondere a qualche domanda, suscitare una riflessione su un fenomeno tutt’altro che marginale, visto anche il prolungarsi nella nostra società dell’età dei soggetti a cui ci si può riferire attraverso il termine “giovani”.

 

16 luglio: Fabrizio Franceschini, Università di Pisa, “Ricchezza e povertà linguistica nei linguaggi giovanili”

 

18 luglio: Patrizia Calefato, Università di Bari, “Tra mode e stili, i segni ‘di strada’ del corpo rivestito”

 

25 luglio: Giovanni Boccia Artieri, Università di Urbino, Giovani e social network: dire, fare e baciare nell’epoca di Facebook”